sabato 1 ottobre 2016

La gerarchia dei sessi

Alla base della comprensione e dell'accettazione delle persone transgender/agender/genderfluid ecc ci sono problemi e ideologie che vanno molto al di là della semplice "omofobia". La comprensione e lo studio di una persona per quella che è basandosi solo sulla sua identità apre dibattiti filosofici che trovano le loro radici nella notte dei tempi. La diversità, qualunque essa sia, spaventa. E esiste, inutile negarlo,  una concezione gerarchica dei sessi per la quale è desiderabile per una donna emulare un uomo mentre è indesiderabile e quasi patologico il contrario. Per questo una bambina con una maglietta dei gormiti passata inosservata e un bambino con una maglietta delle principesse Disney invece no.
Trovo molto interessante e voglio condividere questo articolo appena letto che per me offre moltissimi spunti di riflessione


Sylviane Agacinski, La politica dei sessi, Milano, Ponte alle Grazie, 1998 (Politique des sexes, Paris, Seuil, 1998, trad. it. di F. Bruno)

Nel 1996 viene pubblicato in Francia un manifesto nel quale si reclamano strumenti efficaci per stabilire un'effettiva uguaglianza fra donne e uomini nelle istituzioni pubbliche. Sylviane Agacinski, teorica francese della differenza, inserisce la sua voce fra gli autorevoli interventi in proposito (tra i quali A. Fouque, Il y a deux sexes, Gallimard, Paris 1995, trad. it. a cura di N. Setti, I sessi sono due, Nuove Pratiche Editrice, Milano 1999), affrontando il tema della parità a partire da quella che definisce la politica dei sessi.
"Cos'è questa differenza di sesso che fonda una differenza di genere e fa sì che mai, in nessuna cultura, si confonda maschile e femminile non più di quanto si confondano uomini e donne?" (pag. 9) Nel rispondere, l'Agacinski scompone la domanda attorno alle due 'differenze'.
Una prima, quella sessuale, è fondata sulla natura, ovvero sul ruolo che compete alla donna nell'attività procreativa, e costituisce l'essenza della femminilità. A torto, sostiene l'autrice, gran parte della teoria femminista, a cominciare da Simone de Beauvoir, ha individuato in questa l'ostacolo delle donne verso la liberazione: "la vergogna del femminile ha ossessionato il femminismo" (pag. 60). Sono proprio gli effetti di questa vergogna che hanno portato alla ricerca della liberazione attraverso la parificazione dei diritti. Le donne si sono appropriate in maniera acritica di valori e modelli maschili; esse cioè, "pretesero di liberarsi dall'alienazione storica e naturale non con la loro femminilità ma contro di essa" (pag. 81).
La differenza detta di genere invece è costituita dalle possibili versioni della differenza naturale dei sessi. Queste versioni fondano una gerarchia al cui vertice si trova la qualità di essere un umano di sesso maschile, qualità di cui la donna è 'naturalmente' priva. Da dove nasce questa gerarchia? Secondo la teorica francese, da un'angoscia metafisica della divisione: "Il pensiero in genere, e specialmente il pensiero occidentale, sente la nostalgia dell'uno. L'uno è il riposo del pensiero, in esso si può sostare. Si desidera l'uno come sfondo immobile che assicura la chiusura del tutto…il tutto del pensiero, o il tutto del mondo. L'uno si chiude su se stesso" (pag. 24). Se dunque in materia di sesso, il bisogno di unicità ci costringe a scegliere, il perfetto incastrarsi della logica della mancanza e del principio gerarchico chiudono il cerchio: alla donna manca qualcosa, e questa mancanza la rende seconda di due, entro una gerarchia unitaria.
        Ma i due sessi sono costretti a porsi in relazione continuamente in virtù di quella mistione propria della specie umana. Il fatto cioè di essere uomo o donna. Essi si sono necessari, dunque "l'impossibilità della guerra li ha condannati alla politica" (pag.163). Diviene quindi politicamente fondamentale sapere come è riconosciuta o negata la differenza dei sessi.
Una nuova politica dei sessi che introduca la differenza ed escluda la gerarchia, deve rinunciare alla logica del centro e invece basarsi sulla mistione. L'altro sesso, "per ciascuno il volto più affine allo straniero" (pag.11), costringe a prendere atto del fatto che l'umanità è un insieme misto, basato su un'interna alterità, un'asimmetria essenziale. Dunque il concetto di parità sostituisce quello di uguaglianza e lo supera, nel momento in cui opera una politicizzazione della differenza dei sessi. La parità infatti "costituisce un nuovo approccio alla differenza dei sessi, dandole un senso politico, e un nuovo approccio alla democrazia imponendole di realizzare l'uguaglianza dei sessi non soltanto meglio ma anche in un altro modo" (pag.6).
Il teorema centrale dell'analisi della Agacinski è, come nella tradizione francese e nelle sue versioni italiane, il riconoscimento della differenza sessuale come differenza 'prima' e naturale degli esseri umani, da considerarsi una ricchezza e non, come da sempre si è cercato di dimostrare, una mancanza. Ella articola la sua dimostrazione, lo si è visto, sostenendo che la differenza si oppone all'uguaglianza, in quanto qualità assoluta basata sui ruoli associati alla riproduzione, che divide il genere umano in due metà. Nello spiegare ciò, la Agacinski utilizza il parallelo che Platone fa nella Repubblica tra la differenza dei sessi e quella tra calvi e chiomati. Ella asserisce che Platone ignora la differenza sessuale relativizzandola, e ne rivendica invece il carattere di qualità assoluta. Tra l'essere calvi o chiomati esistono diverse sfumature, mentre il sesso è un termine binario.
Da questa affermazione sorgono due domande tra loro connesse.
La prima consiste nel chiedersi: perché i sessi sono due? Cosa impedisce di sostenere, come fanno alcune teoriche femministe postmoderne, che esistono tante sfumature tra i sessi quante ce ne sono tra calvi e chiomati? (M. Rothblatt, The apartheid of sex. A manifest on the freedom of gender, 1995; trad. it. a cura di M. Nadotti, L'apartheid del sesso, Il Saggiatore, Milano 1997). La Rothblatt non paragona l'opposizione maschio/femmina a quella chiomato/calvo, bensì a quella bianco/nero. Ella propone al lettore di porsi di fronte a tutti gli uomini (e le donne) della terra messi in fila dal più bianco al più nero e lo sfida a dire dove cominci un colore e dove finisca l'altro. Se il sesso è un dato anatomico, possiamo compiere la stessa operazione con uomini e donne, e vedremo che il confine sarà ugualmente poco chiaro. La differenza sessuale, asserisce la Rothblatt, è, come quella tra calvo e chiomato, continua e non discreta. Anche il tema, attualmente in discussione, della gestione artificiale della fecondazione, mostra quanto i ruoli riproduttivi associati al maschile e al femminile possano essere messi in questione e quanto l'opposizione tra i sessi sia da considerarsi sempre meno 'naturale'.
Perché allora, ed eccoci alla seconda domanda, la differenza sessuale è la 'prima' differenza? La questione viene sollevata con forza dalle pensatrici etniche e postcoloniali, le cui posizioni si distanziano dalla teoria femminista europea e la accusano, nel momento in cui essa si pone come centro, di cadere essa stessa nello schema oppositivo alla base della struttura di genere che contesta. Imperniando l'analisi sul recupero dei saperi locali che valorizzano la diversità, esse spingono a confrontarsi con altre prospettive di pensiero e trovano punti di contatto con le teorie di quelle pensatrici postmoderne che, attente a cogliere gli effetti che lo sviluppo della tecnologia produce sui ruoli sessuali, non mettono al centro la differenza ma l'uguaglianza nelle differenze.
Porre la differenza sessuale in contrapposizione all'uguaglianza, rischia di sviare l'attenzione da un problema importante che risulta oggi centrale, quello della produzione delle diseguaglianze. Si potrebbe suggerire allora che politicizzare la differenza sessuale non significa semplicemente rimeditare sulla questa, ma ripensare il concetto di uguaglianza a partire dall'analisi di quelle ingiustizie che, nella società occidentale, sono connesse ai ruoli sessuali e alla formazione di questi. Una politica dei sessi, afferma la Agacinski, deve offrire una soluzione alla naturale guerra che li vedrebbe opporsi. Ma perché questa guerra dovrebbe essere naturale? Perché, in conclusione, invece che fondarsi sulla divisione, non preoccuparsi ed occuparsi della condivisione di ruoli produttivi e riproduttivi?


Francesca Di Donato

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