domenica 14 agosto 2016

"State of mind" sulla disforia di genere

Vi riporto un articolo abbastanza esauriente su cosa è il disturbo di identità di genere pubblicato sul sito "State of mind. Il giornale delle scienze psicologiche"

Valeria Mancini e Serena Pattara – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto

Disturbo dell’Identità di Genere: introduzione

Nella nostra cultura occidentale prevale la tendenza a considerare accettabili solo due modalità alternative di presentazione sessuale: maschile o femminile a seconda dell’aspetto esteriore del corpo biologico. Un dato aspetto e determinati comportamenti vengono associati a specifiche categorie di genere. Pertanto, gli stereotipi culturali relativi al genere sono, ancora oggi, molto diffusi e particolarmente rigidi. La percezione del proprio sesso è una componente fondamentale dell’identità umana, ma non sempre il sesso biologico e il ruolo di genere, il comportamento sessuale e il riconoscimento sociale sono in pieno accordo. Diverse sono le possibili combinazioni delle identità di genere e i relativi vissuti psicologici, affettivi e relazionali.
Il Disturbo dell’Identità di Genere (DIG) e Transessualismo sono i termini usati per descrivere la condizione di un soggetto che desidera vivere ed essere accettato come un membro del sesso opposto; in particolare, il disturbo consiste in un’intensa e persistente identificazione col sesso opposto, in persone che non presentano alcuna anomalia fisica. Tale condizione si presenta con malessere e disagio profondo (la cosiddetta disforia di genere) nei confronti delle caratteristiche sessuate del proprio corpo, sentito come estraneo; lo stesso senso di estraneità viene provato per i comportamenti e gli atteggiamenti che sono tipici del proprio sesso, all’interno del quale il soggetto non si riconosce.
Il disturbo, che nella maggior parte dei casi è auto-diagnosticato, può riguardare sia i soggetti di sesso femminile (disturbo female to male, FtM) che quelli di sesso maschile (disturbo male to female, MtF); il disturbo è più frequente nella forma MtF con una sex ratio di circa 3:1.

Disturbo dell’Identità di Genere: Definizioni e criteri diagnostici

Il concetto d’identità si riferisce alla totalità di una persona, inglobando in sé sia gli aspetti biologici (identità sessuale), sia gli aspetti psicologici (identità di genere), sia gli aspetti sociali (ruolo di genere).
Con il termine identità sessuale, nello specifico, ci si riferisce alla femminilità o alla mascolinità di una persona (Simonelli, 2002). L’identità sessuale è determinata da cinque fattori biologici:
  • i cromosomi sessuali;
  • la presenza di gonadi maschili o femminili;
  • la componente ormonale;
  • le strutture riproduttive accessorie interne;
  • gli organi sessuali esterni.
L’identità di genere costituisce, insieme al ruolo di genere e all’orientamento sessuale, un aspetto della psicosessualità.
Si considera identità di genere di un individuo il sesso a cui, indipendentemente dalla sessualità biologica, si sente di appartenere (Rogers, 2000). Si tratta della percezione unitaria e persistente di se stessi, o auto-identificazione, come appartenente al genere maschile o femminile o ambivalente (Simonelli, 2002). Ma non è la sola natura, tramite la programmazione genetica, che definisce nella totalità cosa sia una personalità maschile o femminile; lo facciamo in buona parte anche noi stessi e la cultura (Dèttore, 2005).
Il termine ruolo di genere fu introdotto da Money (1975), e rappresenta tutto quello che una persona fa o dice per indicare agli altri e a se stesso il grado della propria mascolinità, femminilità o ambivalenza; pertanto, include anche l’eccitazione e la risposta sessuale. Il ruolo di genere è quindi l’espressione esteriore dell’identità di genere e riflette quei comportamenti imposti direttamente o indirettamente dalla società. Tipicamente il ruolo di genere maschile è associato con la forza e con attività associate al rischio, mentre il ruolo di genere femminile con il prendersi cura dei figli (Diamond, 2002). Ovviamente queste sono concezioni arbitrarie e riflettono gli stereotipi dominanti in una data cultura in un dato momento storico. Quando il bambino cresce, apprende che certi comportamenti, atteggiamenti ed espressioni di personalità sono appropriati alla sua ‘etichetta sessuale’ e altri no, pertanto cerca di adeguarsi al modello maschile o femminile ritenuto accettabile nel suo contesto storico e socioculturale. Società diverse, classi sociali e famiglie differenti possono offrire diversi ruoli di genere ed esercitare differenti livelli di pressione affinché vi sia più o meno conformità agli stereotipi dominanti.
Il concetto di orientamento sessuale riguarda la modalità di risposta di una persona ai vari stimoli sessuali e trova la sua dimensione principale nella preferenza erotica per un partner dello stesso sesso o del sesso opposto. L’orientamento sessuale non è dicotomico, ma si estende lungo a un continuum che va dall’eterosessualità esclusiva all’omosessualità esclusiva.
La maggior parte degli individui sviluppa una chiara attrazione erotica verso l’altro sesso, chiamata eterosessualità, mentre una minoranza si sente attratta sia da maschi che da femmine e questo viene definito bisessualità. Altre persone ancora scelgono partner dello stesso sesso, presentando in tal modo un orientamento omosessuale (Simonelli, 2002).
Il processo di acquisizione dell’identità di genere è la risultante di una collaborazione tra natura e cultura, vale a dire tra la maturazione biologica, che a partire dal sesso cromosomico produce, tramite la secrezione ormonale, la diversificazione sessuale del cervello e dell’organismo e il comportamento delle persone circostanti, che dopo l’assegnazione del sesso alla nascita, si comportano nei confronti del soggetto secondo le regole sociali e le aspettative congruenti al genere attribuito. Solitamente identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale sono tra loro coerenti.
L’identità sessuata è presente in tutti i mammiferi, mentre l’identità e il ruolo di genere prevedono e, in parte, riflettono lo specifico psico-sociale umano (Simonelli, 2002).

Il Disturbo dell’Identità di Genere

La presenza di interessi tipici del sesso opposto è un fenomeno che si manifesta sia nel corso del normale sviluppo (Sandberg et al., 1993; Linday, 1994), sia quando i normali processi evolutivi vengono perturbati. Talvolta, comportamenti tipici del sesso opposto rappresentano solo una breve fase di transizione, soprattutto nel bambino intorno ai due anni; in altri casi indicano una ‘flessibilità di genere’ non accompagnata da alcuna avversione o rifiuto per il proprio sesso di appartenenza, anche se il bambino prova disagio quando i suoi interessi non vengono condivisi o supportati dai coetanei dello stesso sesso, questo comportamento non rappresenta un fenomeno patologico ma, al contrario, potrebbe indicare una buona sicurezza e flessibilità dell’Io; in altri casi ancora, rappresentano un segnale di sofferenza intensa e possono dare l’avvio a serie difficoltà emotive che porteranno a disturbi duraturi (Coates, Cook, 2001). Quando, nel bambino, le preoccupazioni relative al genere assumono un carattere intenso, persistente ed invasivo, la condizione viene definita Disturbo dell’Identità di Genere nell’infanzia. La diagnosi si basa sul grado in cui si manifestano i comportamenti e i desideri cross-gender, nonché sul ruolo che essi hanno nel funzionamento adattivo del bambino. Tale condizione può persistere o meno anche in età adolescenziale e adulta. Le differenze fra il DIG nei bambini e il DIG negli adulti riguardano principalmente due aspetti: nei bambini sono coinvolti anche processi di sviluppo fisico, psicologico e sessuale e c’è una maggiore variabilità nelle conseguenze (Dèttore, 2005). La diagnosi di DIG nei bambini è stata introdotta nella nomenclatura psichiatrica nella terza edizione del DSM (CohenKettenis et al., 2003).
Il DIG è catalogato fra i disturbi mentali del DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), e viene definito transessuale (per l’ottenimento del consenso per il cambio di sesso) solo chi non ha una psicopatologia associata, in altre parole, chi non ha un disturbo mentale. Questo è dovuto perché, è classificato come disturbo mentale nel DSM-IV. Esso viene discusso nella stesura dell’attuale edizione del manuale, il DSM-5. Secondo il DSM-IV, i criteri diagnostici per identificare il Disturbo dell’Identità di Genere sono i seguenti:
  • A. Deve essere evidente una intensa e persistente identificazione col sesso opposto, che è il desiderio di essere, o l’insistenza sul fatto di essere, del sesso opposto.
Nei bambini il disturbo si manifesta con quattro (o più) dei seguenti sintomi:
  1. Desiderio ripetutamente affermato di essere, o insistenza sul fatto di essere, dell’altro sesso.
  2. Nei maschi, preferenza per il travestimento o per l’imitazione dell’abbigliamento femminile; nelle femmine, insistenza nell’indossare solo tipici indumenti maschili.
  3. Forti e persistenti preferenze per i ruoli del sesso opposto nei giochi di simulazione, oppure persistenti fantasie di appartenere al sesso opposto.
  4. Forte preferenza per i compagni di gioco del sesso opposto.
Negli adolescenti e negli adulti, l’anomalia si manifesta con sintomi come desiderio dichiarato di essere dell’altro sesso, o di farsi passare spesso per un membro dell’altro sesso, desiderio di vivere o essere trattato come un membro dell’altro sesso, oppure la convinzione di avere sentimenti e reazioni tipici dell’altro sesso.
  • B. L’identificazione con l’altro sesso non deve essere solo un desiderio per qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’appartenenza al sesso opposto. Inoltre deve esserci prova di un persistente malessere riguardo alla propria assegnazione sessuale, oppure un senso di estraneità riguardo al ruolo di genere del proprio sesso.
Nei bambini, l’anomalia si manifesta con uno dei seguenti sintomi:  nei maschi, affermazione di disgusto verso i propri genitali, o speranza che essi scompaiano, o avversione verso i giochi di baruffa e rifiuto dei tipici giocattoli e attività femminili; nelle femmine, rifiuto di urinare in posizione seduta, rifiuto nei confronti della crescita del seno e nei confronti del ciclo mestruale, speranza che i genitali diventino di tipo maschile, avversione verso l’abbigliamento femminile tradizionale.
Negli adolescenti e negli adulti, l’anomalia si manifesta con sintomi come preoccupazione di sbarazzarsi delle proprie caratteristiche sessuali e/o convinzione di essere nati del sesso sbagliato.
  • C. La diagnosi non va fatta se il soggetto ha una concomitante condizione fisica intersessuale (per es., sindrome di insensibilità agli androgeni o iperplasia surrenale congenita).
  • D. Per fare diagnosi deve esservi prova di un disagio significativo sul piano clinico, oppure di compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento.
Specificazioni: per soggetti sessualmente maturi si possono annotare le seguenti specificazioni basate sull’orientamento sessuale del soggetto: Sessualmente Attratto da Maschi, Sessualmente Attratto da Femmine, Sessualmente Attratto sia da Maschi che da Femmine, e Non Attratto Sessualmente Né da Maschi Né da Femmine. I maschi con Disturbo dell’Identità di Genere sono ben rappresentati in tutti e quattro i gruppi. Quasi tutte le femmine con Disturbo dell’ Identità di Genere riceveranno la stessa precisazione – Sessualmente Attratte da Femmine – sebbene vi siano casi eccezionali che riguardano femmine Sessualmente Attratte da Maschi.
A differenza della precedente edizione (DSM-IV), nel DSM-5 i Disturbi Sessuali non sono più conglobati in una stessa categoria ma in tre categorie distinte: le Disforie di Genere, le Parafilie, le Disfunzioni Sessuali.
La Disforia di Genere è una nuova classe diagnostica del DSM-5 e riflette un cambiamento nella concettualizzazione delle caratteristiche di definizione del disturbo per sottolineare il fenomeno di ‘incongruenza di genere’ piuttosto che identificazione di per sé cross-genere, come è avvenuto nel Disturbo dell’Identità di Genere DSM-IV.
Nel DSM-IV, il capitolo Disturbi sessuali e Disturbi dell’Identità di Genere comprendeva tre categorie diagnostiche relativamente disparate: Disturbi dell’Identità di Genere, Disfunzioni sessuali e Parafilie. Il Disturbo dell’Identità di Genere, tuttavia, non è né una disfunzione sessuale, né una parafilia. La Disforia di Genere è una condizione unica in quanto si tratta di una diagnosi fatta da operatori della salute mentale, anche se una gran parte del trattamento è endocrinologico e chirurgico (almeno per alcuni adolescenti e la maggior parte degli adulti).
In contrasto con la dicotomizzata diagnosi di Disturbo dell’Identità di Genere DSM-IV, il tipo e la gravità della Disforia di Genere può essere dedotta dal numero e tipo di indicatori e dalle misure di gravità. L’incongruenza di genere e conseguente Disforia di Genere può assumere molte forme. Il concetto sesso e disforia quindi è considerato essere multicategoriale piuttosto che una dicotomia, e il DSM-5 riflette l’ampia variazione delle condizioni di genere.
Sono distinti set di criteri e vengono forniti indicatori per la Disforia di Genere nei bambini e negli adolescenti così come negli adulti. I criteri per gli adolescenti e gli adulti includono una serie più dettagliata e specifica di sintomi politetica. Il precedente Criterio A (identificazione cross-genere) e il Criterio B (avversione verso il proprio sesso) sono stati fusi, perché non è stata trovata nessuna evidenza da studi analitici fattoriali a supporto del mantenimento dei due criteri separati. Necessario per la diagnosi è il desiderio di appartenere o la tendenza ad identificarsi precocemente nell’altro genere (criterio B1).
Nella formulazione dei criteri, ‘l’altro sesso’ è sostituito da ‘qualche genere alternativo’. Il termine ‘genere’ al posto di ‘sesso’ è utilizzato sistematicamente in quanto il concetto di sesso è inadeguato quando si parla di individui con un disturbo dello sviluppo sessuale in atto. Nei criteri per i bambini, ‘forte desiderio di essere dell’altro sesso’ sostituisce il precedente ‘più volte dichiarato desiderio’ per catturare la situazione di alcuni bambini che, in un ambiente coercitivo, non possono verbalizzare il desiderio di essere di un altro genere. Per i bambini, un criterio A1 (un forte desiderio di essere dell’altro sesso o un’insistenza che lui o lei è di un’altro genere) è ora necessaria, (ma non sufficiente), il che rende la diagnosi più restrittiva e conservatrice.
Sottotipi e specificazioni: i sottotipi delineati sulla base dell’orientamento sessuale sono stati rimossi perché la distinzione non è considerata clinicamente utile. Una specificazione post-transition è stata aggiunta perché molte persone, dopo aver fatto la transizione, non soddisfano più i criteri per la Disforia di Genere, tuttavia, continuano a subire vari trattamenti per facilitare la vita nel genere desiderato. Sebbene il concetto di post-transition è modellato sul concetto di remissione completa o parziale, il termine remissione ha implicazioni nel senso di riduzione dei sintomi che non si applicano direttamente alla Disforia di Genere.

Eziopatogenesi del Disturbo dell’Identità di Genere

Per le cause del DIG vi è un dibattito aperto, tra chi sottolinea l’importanza dei fattori biologici, in particolare, nell’insorgenza del DIG, sembrerebbero giocare un ruolo importante gli ormoni sessuali prenatali, ad esempio ‘La teoria dell’effetto di feedback positivo all’estrogeno’ (PEFE; Dörner, 1976), secondo la quale il DIG e l’omosessualità potrebbero essere il risultato di eccessi o carenze di androgeni in utero durante il periodo sensibile per lo sviluppo delle strutture ipotalamiche che regolano la produzione di FSH e LH e un temperamento tipico del sesso opposto e chi, invece, adotta un punto di vista più specificatamente psicologico e attribuisce grande importanza a vari fattori ambientali di rinforzo tra cui l’educazione ricevuta in famiglia e gli eventi di vita. Esiste, infatti, un rapporto molto particolare e diretto tra identità di genere e fattori ambientali e intrapsichici, che è necessario indagare e approfondire.
In generale sembra comunque prevalere una teoria multifattoriale che prende in considerazione l’interazione di aspetti biologici, psicologici e ambientali all’origine del DIG.

Incidenza e prevalenza del Disturbo dell’Identità di Genere

Fonti diverse indicano stime diverse sul numero di individui con Disturbi dell’Identità di Genere:
  • 1 su 10-12.000 nati maschi con identità di genere femminile e 1 su 30.000 nati femmine con identità di genere maschile richiedono interventi chirurgici per cambiamento di sesso.
  • 1 su 30.000 nati maschi con identità di genere femminile e 1 su 100.000 nati femmine con identità di genere maschile richiedono interventi chirurgici per cambiamento di sesso.
L’ultima versione del manuale (APA, 2000) riporta che nei campioni di pazienti pediatrici vi sono almeno cinque maschi per ciascuna femmina giunta all’osservazione con questo disturbo. Ricerche recenti (vedi Zucker et al.,1997; Zucker et al., 2003), effettuate su campioni di diversa nazionalità, rilevano che il rapporto è di 6,6 maschi per 1 femmina. Di Ceglie (2002) riscontra un rapporto di 2:1 tra bambini e bambine al di sotto dei 12 anni che presentano un DIG.
Tuttavia, non sono ad oggi disponibili studi epidemiologici che diano una stima attendibile della prevalenza-incidenza del disturbo nella popolazione infantile. L’esperienza clinica indica che si tratta di una sindrome piuttosto rara (Meyer-Bahlburg, 1985; CohenKettenis, Pfäfflin, 2003). La ragione della diversa prevalenza del disturbo tra maschi e femmine non è chiara. Le ipotesi esplicative si orientano verso una maggiore vulnerabilità biologica nei maschi, oppure verso una minore tolleranza dell’ambiente sociale nei confronti dei comportamenti non coerenti al genere esibiti dai maschi piuttosto che dalle femmine, che influenzerebbe l’invio alla consultazione. In genere l’esordio delle manifestazioni più congrue al sesso opposto sono collocabili tra i 2 e i 4 anni e comunque in età prescolare, prima dello stabilirsi di un senso relativamente saldo del genere, che normalmente si sviluppa tra i 4 e i 7 anni. Tuttavia, alcuni comportamenti, come l’indossare abiti del sesso opposto, possono essere talora osservati anche prima dei due anni. Alcuni genitori sottopongono il proprio figlio all’osservazione clinica in concomitanza con l’inizio della scuola perché si rendono conto che quello che loro consideravano solo una fase non accenna a passare; essi riferiscono al clinico che il proprio figlio ha sempre mostrato interessi tipici del sesso opposto (Zucker et al., 2003). Altri genitori non risultano così solleciti nel chiedere una consultazione.
Esordio: precoce nel 66% dei casi, tardivo nel 33% (di regola MtF).
In età prepuberale: maschi > femmine.
In età adolescenziale: maschi = femmine.
In età adulta: maschi > femmine per esordio tardivo MtF.
Transessualismo post-puberale generalmente non modificabile.

Le psicopatologie associate al Disturbo dell’Identità di Genere

Per quanto riguarda il legame tra Disturbo dell’Identità di Genere e la psicopatologia associata, tendenzialmente si riteneva, soprattutto in passato, che il Disturbo dell’Identità di Genere fosse associato molto spesso a gravi Disturbi di Personalità.
Dalla lettura delle varie ricerche svolte in tale ambito, soprattutto delle meno recenti, si intuisce che le problematiche psichiatriche o psicologiche erano considerate più un fattore eziologico che una conseguenza del disturbo.
Gli psicoanalisti hanno postulato che le persone con DIG fossero gravemente psicopatologiche; per esempio Sperber (1973) dichiarava che quanti mostravano una Disforia di Genere presentavano personalità di tipo Borderline; di recente Colette Chiland (2000) ha considerato il transessualismo come un Disturbo Narcisistico con un profondo disturbo della costituzione di sé. Hoening e coll. (1971) affermavano che il 70% dei transessuali mostrava una diagnosi psichiatrica, sebbene solo il 13% fosse francamente psicotico. Meyer (1974) e Steiner (1985) riscontrarono Personalità Narcisistica, Borderline e Antisociale, a cui il Meyer sommava tratti schizoidi, Depressione, Ansia, tendenze suicidiarie e omicide. Anche Gosselin e Wilson (1980) rilevarono prove di introversione ed elevato Nevroticismo rispetto ai maschi senza DIG.
Questa letteratura riguardava soprattutto transessuali e travestiti maschi, e ne evidenziava l’associazione con la patologia psichiatrica; nel contempo evidenziava come nei transessuali di sesso femminile la comorbilità psichiatrica fosse in genere minore (Dèttore, 2005).
Lothstein, invece, (1983,1984) rilevò pesanti associazioni psichiatriche anche nelle donne transessuali. Bockting e Coleman (1992), rilevarono la presenza di Ansia e Depressione e Disturbi dell’Asse II, nel DIG. Hartmannn e coll. (1997) rilevarono importanti aspetti psicopatologici e una notevole disregolazione in senso narcisistico.
Sulla base di queste ricerche e dati, è importante comprendere se la patologia mostrata dalle persone con un Disturbo dell’Identità di Genere (DIG) sia dovuta al DIG stesso, oppure sia dovuta alla pesante esposizione a fattori stressanti e alle difficoltà derivanti dal trovarsi a vivere in una società omofobica e impreparata ad accogliere le diversità.
La Lev (2004) sostiene che considerando che le ricerche sulla varianza di genere e sui transessuali sono condotte su persone che si rivolgono ai centri clinici specializzati, si tratta di soggetti più disforici di genere e più sofferenti e più disperati e quindi con più probabili e rilevabili patologie, connesse o secondarie alla loro condizione.
Alla luce di queste considerazioni, è bene mettere in luce tutta un’altra letteratura che rileva, invece, come le persone con varianza di genere non debbano mostrare necessariamente gravi aspetti di comorbilità psicopatologica. Holtzman e coll. (1961) sostenevano che i soggetti con DIG erano in genere bene organizzati e con processi di pensiero intellettivamente adeguati. Bentler e Prince (1970) non osservarono importanti diversità sulle scale nevrotiche o psicotiche fra transessuali e soggetti di controllo. Cole e coll. (1997) più recentemente, avevano evidenziato che meno del 10% di 435 transessuali primari mostrava precedenti disturbi mentali. Carroll (1999) affermò che le persone transgender non evidenziavano necessariamente livelli di disturbi mentali più elevati della popolazione non clinica. Analoghi dati furono riportati da Brown e coll.(1995) rispetto alle caratteristiche di personalità di un gruppo non clinico di persone con varianza di genere confrontato con un gruppo altrettanto non clinico di controllo.
Anche Schaefer e coll. (1995) dichiararono che nei transessuali non vi è prova di frequente comorbilità; risultati simili sono stati ottenuti da uno studio italiano (Menichini e coll. 1998) condotto su 8 MtF e 5 FtM. Haraldsen e Dahl (2000), dopo aver condotto un confronto fra pazienti transessuali con soggetti con Disturbi di Personalità e con adulti non clinici, conclusero che i primi mostravano bassi livelli di psicopatologia. Miach e coll. (2000) rilevarono in soggetti definiti come transessuali bassi livelli di psicopatologia; mentre riscontrarono disturbi mentali da moderati a gravi in quei soggetti che erano stati diagnosticati come ‘Disturbo dell’Identità di Genere dell’adolescenza e dell’età adulta, tipo non transessuale’. Non trovarono comunque Disturbi di Personalità. Cohen-Kettins e van Goozen (1997,2002) non evidenziarono particolari problemi mentali in adolescenti che chiedevano la RCS (riattribuzione chirurgica di sesso).
È necessaria un’ulteriore precisazione, in quanto è possibile che, in alcuni casi la sintomatologia psichiatrica dei soggetti con DIG sia la conseguenza di esiti PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder, Disturbo Post – traumatico da Stress) conseguenti a violenze subite di tipo sessuale o comunque legate a pregiudizi e atteggiamenti negativi verso le persone con varianze di genere. Questo tipo di esperienze traumatiche sono molto frequenti in tale popolazione (Courvant e Cooke-Daniels, 1998; Lev e Lev, 1999; Xavier, 2000).
Nonostante i risultati rassicuranti di queste ricerche, non va dimenticato che il DIG possa mascherare rilevanti problemi psichiatrici. Brown (1990) indicò varie diagnosi che possono includere una Disforia di Genere, fra cui il Disturbo da Dismorfismo Corporeo, la Simulazione e la Schizofrenia con Disturbi d’Identità di Genere.
Altra area di interesse è quella dell’uso e abuso di sostanze e alcol. Anche in questo settore vi sono state interessanti ricerche. Xavier (2000) riferisce casi frequenti di Abuso da sostanze. Valentine (1998) sostiene che il 27% degli utenti delle cliniche per la RSC manifesta abuso di alcolici e il 23% consumo di droghe.
Si osserva una ulteriore comorbilità tra DIG e i Disturbi Alimentari, i quali richiedono un attento inquadramento, in quanto talora l’ossessione di modificare il proprio corpo può essere legata a temi dismorfofobici tipici di tali disturbi (Dèttore, 2005).
In letteratura recente sono stati riportati alcuni casi interessanti di comorbilità fra il DIG, quasi esclusivamente in soggetti maschi, e i Disturbi Alimentari (soprattutto Anoressia Nervosa), che suggeriscono l’ipotesi che il DIG possa essere un fattore di rischio per l’Anoressia Nervosa e che comunque, nel caso di pazienti maschi che si presentano con tale Disturbo Alimentare, si dovrebbero tenere presenti nell’assessment anche aspetti legati all’identità di genere (Hepp e Milos, 2002; Hepp e coll., 2004; Wintson e coll., 2004).
Importante inoltre, è sottolineare il rischio elevato di suicidio nei transessuali. Mathy (2002) confrontò a questo proposito 73 transgender con donne (1083) e maschi (1077) eterosessuali, donne (73) e uomini (73) appaiati sotto l’aspetto psicosociale, e donne (256) e uomini (356) omosessuali. I transgender riferirono significativamente maggiori ideazioni e comportamenti suicidiari rispetto a tutti gli altri gruppi, con l’eccezione delle donne omosessuali. Quanti avevano presentato tali aspetti evidenziavano con maggiore probabilità problemi psichiatrici pregressi e attuali, uso di farmaci e difficoltà con alcol e droghe. Successivamente Mathy e coll. (2003) rilevarono come le donne bisessuali e i soggetti transgender avevano, rispetto ai maschi bisessuali, significativamente maggiori rischi di tentato suicidio, difficoltà di salute mentale e ricorsi ai servizi; gli autori sottolineano come in questo caso il sessismo e l’eterosessismo sembrano sommarsi fra loro nella causazione di tali maggiori sofferenze in soggetti che, oltre a essere donne, sono anche bisessuali o varianti rispetto al genere.
Vi è un attuale dibattito tra quanti si sono dichiarati contrari all’etichetta diagnostica e al processo di patologizzazione del DIG e tra chi invece sostiene la necessità di una diagnosi. A tal proposito la Lev (2004) sostiene che il transgenderismo faccia parte di una normale variante sana dell’espressione dell’identità umana, senza alcuna componente patologica.

Disturbo dell’Identità di Genere: Conclusioni

Il disagio riguardo alla propria identità di genere può assumere varie forme e diverse intensità. L’eziologia del Disturbo dell’Identità di Genere è ancora incerta e le molte teorie in merito mettono in luce la sua multifattorialità. Nell’ambito della ricerca è auspicabile che indagini dettagliate vengano messe a punto per colmare le lacune esistenti al fine di chiarire il peso relativo di ciascun fattore di rischio, i nessi causali che collegano più fattori di rischio tra loro, nonché per far luce sugli eventuali fattori di mediazione e precipitanti che concorrono a creare la sofferenza e il disagio delle persone con DIG. Il clinico dovrebbe cercare soprattutto di comprendere l’unicità del paziente, la sua storia e il suo bisogno. Fortunatamente esistono delle chiare linee guida per lavorare con i soggetti che presentano problemi relativi all’identità di genere, capaci di dirigere la fase diagnostica e terapeutica. Tale metodologia ha mostrato dei buoni risultati empirici e la prognosi del trattamento è positiva. Si ritiene, inoltre, fondamentale approfondire la ricerca scientifica sugli effetti a lungo termine delle terapie ormonali e sulle nuove tecniche chirurgiche che, meglio, soddisfino reali e concrete esigenze dell’utenza. A questo scopo, si ritiene essenziale il contributo dei risultati a distanza ottenuti attraverso la raccolta di dati nei follow-up.
Per il fatto che i soggetti con Disturbo dell’Identità di Genere si sottopongono a terapie mediche e chirurgiche irreversibili è fondamentale un’accurata diagnosi differenziale al fine di distinguere questa patologia da condizioni che possono mimarne in qualche modo le caratteristiche ma che con tale disturbo non hanno nulla a che fare.
La patologizzazione d’identità di genere atipiche e la diagnosi relativa alla condizione transessuale sono state cause di controversie e accesi dibattiti. In alcuni casi in cui il senso di incompatibilità tra corpo biologico sessuato e identità di sé e di genere è estremamente precoce e pervasivo si possono verificare gravi disagi psichici che potrebbero giustificare l’etichetta diagnostica; in altre persone le sofferenze psicologiche sono prevalentemente causate dalle reazioni spesso ostili dell’ambiente alla propria atipicità, nonché dalle reazioni sociali discriminatorie.
La comunità europea ha recentemente ribadito l’importanza del rispetto, dell’apertura, dando vita ad un rapporto dell’United Nations Development Programme intitolato La libertà culturale in un mondo di diversità dove scrive:
Lo sviluppo umano significa anzitutto permettere alle persone di vivere il tipo di vita che essi scelgono – fornendo loro gli strumenti e le opportunità per fare questo genere di scelte
Le questioni sono tante, ma l’unico modo per combattere realmente stereotipi e pregiudizi che, non di rado, sfociano in violenze simboliche e reali, e promuovere avanzamento culturale e scientifico, è la conoscenza profonda delle persone, delle loro storie di vita, dei loro modi di pensare e stare nel mondo. Si ritiene rilevante dedicare particolare attenzione alle problematiche relative all’identità di genere e promuovere adeguati interventi di formazione-informazione non solo per i familiari degli utenti, ma anche per il personale delle istituzioni scolastiche, per le figure professionali dell’area sanitaria, sociale e legale che svolgono funzioni attinenti a questo campo e dei dipendenti della Pubblica Amministrazione.
Rispetto alla diagnosi di transessualismo, la pubblicazione dell’attuale DSM-5, con la sua diagnosi di Disforia di Genere, ha tuttavia soddisfatto e in parte tranquillizzato la comunità transgender, infondendo maggior ottimismo in quella parte dei suoi membri che auspica e prospetta un futuro decorso della diagnosi simile al destino incontrato dalla diagnosi di Omosessualità, ormai defunta da parecchi anni. Con l’attuale diagnosi l’APA sembra aver compiuto un deciso passo verso la depatologizzazione del transessualismo, ricordando appunto ciò che è avvenuto in passato con la diagnosi di omosessualità.
Da quanto trapela dalla letteratura visionata, il Disturbo dell’Identità di Genere può associarsi ad altre psicopatologie psichiatriche. Frequente è la comorbilità con Disturbi dell’Umore o Disturbi d’Ansia, e si può riscontrare in alcuni pazienti un Disturbo di Personalità, spesso di tipo Borderline. Si auspica ad una riduzione, grazie alla prevenzione ed ai trattamenti sia farmacologici che psicologici, delle correlazioni psichiatriche, che come abbiamo visto, possono essere sia una causa del Disturbo dell’Identità di Genere, sia una conseguenza.
Infine, non esistono studi epidemiologici recenti e veramente completi che forniscano dati sulla prevalenza del Disturbo dell’Identità di Genere. Le stime più attendibili si basano su ricerche effettuate soprattutto in Europa sui pazienti che richiedono l’intervento medico e chirurgico. E’ molto probabile che il fenomeno sia sottostimato. Risulta evidente il bisogno di effettuare ulteriori ricerche, sia nel territorio Europeo ma soprattutto in quello extraeuropeo ed anche con pazienti che non richiedono l’intervento medico e chirurgico, per una corretta stima della prevalenza di questo disturbo.

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